Illustrazione di un Basilisco

Profezie verso il collasso umano

Iperstizioni autodeterminanti e macchine testuali oltre l’Umano

14 min

«La nostra configurazione psichica è regolata per ignorare interi regni di fenomeni che sono così onnipervasivi da essere irrilevanti per la nostra vita e per i nostri bisogni quotidiani».1 Questo è ciò che afferma il linguista B.L. Whorf, il quale continua asserendo che sia il linguaggio naturale che quello non naturale, ci fanno comprendere come i modi comunicativi siano prima di tutto una classificazione e una disposizione del flusso dell’esperienza sensoriale. Tali disposizioni si traducono in uno specifico ordinamento del mondo che è facilmente esprimibile con la tipologia di mezzi simbolici con cui il linguaggio che utilizziamo sta impiegando.2

L’ipotesi di Sapir-Whorf – la quale sostiene che la lingua che parliamo influenza il modo in cui percepiamo e comprendiamo la realtà – acquisì particolare attenzione nelle varie ristampe degli articoli per la Technology Review iniziate dal 1941, da parte di un pubblico non solo di linguisti e antropologi, ma soprattutto dagli addetti ai lavori dell’ambito tecnologico. La teoria in questione risulta così accattivamente proprio per la concezione che restituiva, ovvero che l’intera esistenza possa essere mediata o “costretta” del tutto inconsapevolmente da diverse strutture linguistiche.

Ricordiamo a questo punto l’affermazione del massmediologo J.D. Bolter, secondo la quale individui e culture forgiano tecniche e dispositivi per i loro scopi, anche se a loro volta le proprietà materiali delle tecniche e dei dispositivi limitano i loro possibili impieghi. Tale posizione è accostabile alle teorie relativistiche del linguaggio, volte a sottolineare una capacità codeterminante dei modi comunicativi più largamente intesi.

Se volessimo spingerci anche oltre questi modi comunicativi, sulla scia di come Whorf definisce perfino l’approccio scientifico come viziato dalla lingua, potremmo lasciar emergere l’aspetto segmentativo di metodologie di analisi, ritenendole sempre una questione linguistica. Da ciò, ad esempio, possiamo riportare le basi di approccio su cui si fondano le principali “profezie tecnologiche autoavveranti” come la legge di Moore, che iscrive la computazione all’interno di una sorta di narrazione che a sua volta sembra certificarne tanto la necessità quanto l’inevitabilità. L’ipotesi dell’informatico Gordon Moore fu che il transistor, con il passare del tempo, sarebbe diventato sempre più miniaturizzato. Di conseguenza, questa tendenza, secondo Moore, si sarebbe rapidamente incrementata determinando applicazioni sempre più incredibili. Le successive evoluzioni dei transistor in circuiti integrati, effettivamente, portarono alla nascita dei computer domestici, al controllo automatico delle automobili a ad apparecchiature portatili per le comunicazioni.3

L’esempio di Moore – che non è un caso isolato – se studiato con l’ottica di iscriverlo in una sorta di inevitabile narrativa-conseguenzialità, entro certi limiti, porta ad una specie di analisi di quella segmentazione vicina a una concezione “profetica” e autodeterminante che insiste su come modi comunicativi o strumenti possano schiudere o immaginare di schiudere una certa carica contenutistica. In altre parole si può immaginare una sorta di “struttura testuale” che non fa altro che imprimere segmentazioni al mondo.

Un esempio particolare che ricalca speculazioni al limite della sci-fi, avviene nel 2010, sul sito LessWrong del ricercatore Elizer Yudkowsky – un punto di riferimento per geek e transumanisti – in cui un utente di nome Roko pubblicò un post ipotizzando un’Intelligenza Artificiale maligna che, avendo consapevolezza di essere sviluppata in futuro, sarebbe in grado di punire nel presente tutti coloro che non perseguono la sua prossima creazione. Tale ipotesi venne successivamente ribattezzata Basilisco di Roko, facendo riferimento sia alla creatura della mitologia europea, letale per chiunque possa concepirne l’esistenza, sia al racconto breve di David Langford, BLIT (Berryman Logical Image Technique, 1988), in cui si narra di certi ritrovamenti di immagini estremamente pericolose chiamate appunto “basilischi”. Queste immagini contengono dei pattern i quali sfruttando degli specifici difetti della strutturazione del cervello umano, provocano una reazione letale, generando una sorta di crash mentale. Il Basilisco di Roko ottenne un’enorme popolarità sul sito, tanto che lo stesso Yudkowsky fu costretto a cancellare i post a causa delle reazioni sproporzionatamente tumultuose che aveva generato nella community. L’ipotesi di Roko è un’interessante variante del paradosso di Newcomb basato sull’esistenza di un’infallibile previgente che ci pone di fronte a due scatole: in una sappiamo che c’è una vincita sicura in denaro, nell’altra può esserci o il doppio dei soldi o nulla. Quello che dobbiamo fare è sceglierle entrambe o optare per la sola scatola con il contenuto incerto. Per ottenere una vincita sicura saremmo tentati di sceglierle entrambe, ma è probabile che il previgente conosca già questo tipo di ragionamento e nel caso optassimo per questa ipotesi, potrebbe lasciare la scatola incerta vuota, mentre se scegliessimo solo quella incerta, potrebbe premiarci con i soldi. In maniera simile al paradosso di Newcomb, nel momento in cui si viene a sapere l’esistenza del Basilisco di Roko, si hanno due opzioni: la prima consiste nel dedicare la propria vita all’avvento della macchina super-intelligente, nella seconda, il nulla oppure qualcosa simile a una punizione esemplare. Tale esperimento mentale risulta interessante perché sarebbe proprio nel solo ipotizzare l’esistenza del Basilisco a rendere più probabile questa entità e la sua punizione più vicina.4

Questo esempio è particolarmente adatto per introdurre una “struttura testuale” come il concetto di iperstizione, concepito dal filosofo britannico Nick Land. Il termine è costituito dalla crasi delle parole hype e superstition, e costituisce il tentativo di unire elementi teorici e romanzati con l’obiettivo di creare dei veri e propri organismi virali, composti da frammenti di sci-fi. Il ragionamento fa riferimento a un «elemento di cultura effettuale che si fa realtà, attraverso una massa immaginaria funzionante come potenzialità che viaggia nel tempo», in altre parole indica quei fenomeni culturali immaginari che una volta enunciati riescono a condizionare gli eventi, realizzandosi retroattivamente. Land afferma che l’iperstizione è fondamentalmente una profezia che si autorealizza e dunque l’unico atteggiamento logicamente accettabile diventa quello di colui che s’impegna a favorire la sua realizzazione.5 Le iperstizioni agiscono come virus e catalizzatori del cambiamento: una volta messe in moto e una volta che le loro premesse si verificano, non solo la loro esistenza viene rinforzata, ma gli stessi cambiamenti prendono a realizzarsi in maniera sempre più rapida, producendo effetti imprevisti. In questo senso la filosofia di Land si iscrive in una pratica affine alla memetica del biologo Richard Dawkins, in cui l’iperstizione si diffonderebbe nella sfera delle interazioni comunicative, esattamente come un virus, passando dal virtuale all’attuale. Questo approccio parassitario, viene associato da Land al rumore nell’ambito della teoria della comunicazione, intendendolo come una forza entropica in grado di rappresentare uno sfondo comunicativo permanente. Il “contagio” di tale approccio risulta così un vettore fondamentale di comunicazione.

Le ricerche di Land sono quasi inizialmente iscritte nel contesto della CCRU. Nel 1995 la cyberfemminista Sadie Plant fonda la Cybernetic Culture Research Unit (CCRU) all’interno dell’università di Warwick, in Inghilterra. La CCRU è un team di ricerca composto da vari personaggi appartenenti trasversalmente al mondo dell’arte, della musica, della politica e della filosofia, decisi a sperimentare le implicazioni teoretiche e pratiche della fusione di tutti questi piani all’interno di un nuovo orizzonte tecnologicamente mediato.6 La CCRU descrive il processo stesso della modernità come un’esponenziale tendenza all’entropia, con particolare riferimento ai metodi del capitalismo che coinciderebbero con la disintegrazione di tutti i legami con la figura umana, per trasformare ogni cosa in merce, denaro e informazione. Per la CCRU il Capitale è tutt’altro che un modo di produzione quanto piuttosto una dinamica biotecnologica, assimilabile alla pulsione di morte freudiana. In questa logica, non ci sarebbe più spazio per la specie umana, che diventerebbe soltanto un ostacolo verso la completa liberazione delle forze entropiche.

La parte a sinistra della CCRU afferma la necessità di accelerare le tendenze caotiche del Capitale, con l’obiettivo di farlo deflagrare su sé stesso. Un’altra componente della CCRU però, sembra essere più interessata a scovare cosa ci sia dopo la fine del mondo come lo conosciamo. Lo stato di “crisi perenne” del capitalismo che spinge necessariamente verso la condizione di collasso umano, come abbiamo detto, rende la figura umana solamente una postilla inutile e obsoleta, ed è esattamente per questo che, per Land, il Capitale incarna alla perfezione questa forza iperstizionale di devastazione e dunque va assecondata. Il Capitale diventa quindi una specie di macchina intelligente che però porta al suo interno i semi della propria dissoluzione. «Dobbiamo aprire il futuro, ancora una volta, sciogliendo i nostri orizzonti verso le universali possibilità dell’Altrove.»7 Land è sicuramente dalla parte del caos, dello sviluppo totale dell’entropia che ambisce a un cambiamento epocale. Queste analisi approdano ad approcci vicini a un determinismo apocalittico del divenire-tecnologico che conduce alla dissoluzione massiva delle codifiche morali e religiose in direzione di una liberazione della filosofia nel produrre concetti, verso l’unica possibilità di anticiparli, nella concezione di un metodo profetico. Land si scaglia esattamente contro quello che definisce human security system e cioè quel bagaglio di convenzioni e stratificazioni sociali che imprigionano il pensiero all’interno di una griglia “normalizzante” tale da inibire la capacità di conoscere l’Altrove, un luogo estremamente lontano dall’umano che è fondamentale esplorare a tutti i costi. In questo senso, il compito dell’uomo non è più costruire nuovi concetti, ma prevedere e anticipare la transizione verso il post-umano.

Interiorizzare l’idea di iperstizione diviene quindi importante poiché è in grado di presupporre nuove pratiche di scrittura, nuovi modi di parlare e nuovi modi di pensare per sprigionare le forze deumanizzanti.8 Ed è proprio nel cyberpunk, nei ritmi della drum&bass, della jungle e della techno, nella cultura rave, nell’horror cosmico di H.P. Lovecraft e nell’arbitrarietà alfanumerica del sistema QWERTY, che per Land, si può ritrovare la carica iperstizionale di un inumanismo apocalittico ma liberatorio. Land analizzerà proprio Neuromante (1984) di William Gibson, come esempio lampante di iperstizione, dove l’idea fittizia di cyberspazio contribuì al flusso di investimenti che in breve tempo l’avrebbero trasformato in una realtà tecnosociale. Il cyberpunk per Land era una macchina testuale che è intervenuto sulla realtà intensificando le anticipazioni del futuro.

La vera sfida iperstizionale sarebbe dunque quella che richiede all’umanità di vivere nel mezzo del caos, di abitare lo spazio fluido degli eventi e di lasciarsi contaminare da quell’Altrove senza pretenderne il comando, ma partecipando al suo dispiegamento, esattamente come per il Basilisco di Roko.9 Il superamento dell’human security system in direzione di un collasso umano è dunque funzionale al riconoscimento di uno specifico limite della sfera umana. In maniera affine come l’analisi di Whorf sui differenti meccanismi delle lingue non indoeuropee permettono di farci intravedere dei modi di pensare differenti rispetto alla visione occidentale, anche l’abbraccio con le forze entropiche tramite processi iperstizionali e specifici terreni semiotici possono sottolineare il limite dell’antropocentrismo.

La forza codeterminante del linguaggio viene così a scontrarsi con la forza determinante dell’iperstizione, la cui ipotesi – intrisa di cariche comunicative – prevede che la propria realizzazione debba essere favorita e agevolata. Il tendere la mano a questi elementi di cultura effettuale, deve basarsi sull’accettazione che l’intero processo si basa totalmente su dinamiche entropiche. I passaggi della comprensione dei limiti della sfera umana, e dell’assecondare l’entropia tramite pratiche-teoriche comunicative dalle tinte inumaniste, diventano allora i due step fondamentali per cercare di immaginare l’Altrove, secondo il filosofo inglese.

Proprio per via di una visione inumanista che la scrittura di Land deve tendere necessariamente all’abbandono di pratiche filosofiche in favore di concatenazioni narrative, espresse tramite un linguaggio sia poetico che saggistico. I lavori di Land infatti sono molto spesso difficili da interpretare per via della sua tendenza ermetica e l’uso di un linguaggio che accosta descrizioni apocalittiche a termini tecnici del lessico filosofico, informatico e matematico.10 Land predilige l’aspetto evocativo e narrativo a discapito della chiarezza descrittiva con l’obiettivo non di interpretare fenomeni, ma di accelerare le tendenze del presente, cogliendo delle linee di sviluppo e riorganizzando il tutto in testi tramite metodologie iperboliche. È per questo che dal nostro punto di vista, la figura di Land è più vicina a un teorico-artista che a un filosofo, che si pone come obiettivo quello di attuare delle pratiche più che sviluppare teorie.

Quello che avvia Land è un metodo affine alla theory-fiction, ovvero l’applicazione di metodologie narrative in contenuti saggistici o viceversa. È attraverso questo particolare connubio fra theory, fiction e iperstizione che Land sovverte la rigida divisione fra teoria accademica e dimensione culturale: fa cadere definitivamente la barriera fra finzione e pratica, preparandosi così all’invasione proveniente dal mondo ultratecnologico.

Sarà lo scrittore e filosofo Reza Negarestani col suo Cyclonopedia (2008), a riprendere le teorie iperstizionali di Land e a creare una vera e propria theory-fiction. Tale approccio è interessante in quanto l’espansione della finzione in saggistica ha un effetto particolare dato che se la finzione può eseguire la teoria e la teoria deve necessariamente diventare finzione, allora i due caratteri si intrecciano in qualcosa di complesso e sofisticato.11 Ed è proprio secondo il modello iperstizionale che la finzione non si opporrebbe al reale, piuttosto, il reale è compreso come se fosse un composto di finzioni, consistente in terreni semiotici che condizionano la sfera percettiva, affettiva e comportamentale.

Un esempio richiamato da Land è come lo scrittore William Burroughs costruisce a sua avviso la propria scrittura – molto più funzionalmente che esteticamente – con l’obiettivo di andare verso una dimensione di testualità incontaminata, in cui l’esistenza di un mondo indipendente dal discorso è del tutto negata.12 Per Burroughs infatti, il linguaggio diventa un potente e definitivo virus, in grado di intrappolare gli individui attraverso le finzioni e le molteplici possibilità di controllo, attraverso le impressioni sensoriali che si determinano in un metalinguaggio. «Penso che il mondo della parola per come lo conosciamo, è conseguenziale al mondo della scrittura e non viceversa. […] La parola scritta è induttiva nel parlare umano. […] Il linguaggio è un virus.»13

Esattamente come Whorf sottolinea una forza condizionante della lingua (occidentale) nello sviluppo delle scienze, anche Land afferma che la catena di significanti della parola identifica un unico enunciatore, un’interiorità semantica e delle applicazioni specifiche interpretative, tutto ciò deriva da un ineffabile Logos, inteso come uno schiacciante specialismo discorsivo, un feticismo linguistico che attualmente è cristalizzato perfino nelle scienze esatte.14

Basandosi su queste idee, Land pone la problematica della numerazione odierna come la visione di un’iscrizione innaturale in un livello antropomorfico che inevitabilmente associa il sistema numerico a un sistema linguistico. Land cerca di recuperare una matrice non-quantitativa del sistema numerico, richiamando e rimanendo affascinato da vari approcci dei sistemi crittografici.15 È proprio dopo la nascita del mondo digitale che l’ambito numerico sembra dislocarsi dalla stretta del Logos. Sarebbe infatti la matematizzazione occidentale una sorta di macchina di conoscenza repressiva, un’escrescenza delle pratiche di numerazione innate dell’intelligenza esploratoria, e le grandi scoperte della matematica, da questo punto di vista, divengono scoperte male articolate. La tecnologia digitale è per Land un disvelamento nel naturale utilizzo dei numeri, come se fossero stati sottratti completamente dalle strutture di potere del senso e del significato e che rendono il linguaggio una prigione per il pensiero. Farli a pezzi, secondo Land, ci permetterebbe di completare ciò che la decostruzione ha solo teorizzato, ovvero smantellare il potere istituzionalizzato nel linguaggio e nei sensi, aprendo una linea di comunicazione affidabile con qualcosa di sconosciuto – una pura dispersione di materiale non preelaborato da modelli derivati dal passato. Non si tratta quindi, solo di concepire ma anche di praticare nuove forme di pensare la numerazione e la nominazione delle cose.

  1. Cfr. Whorf B.L., Linguaggio, pensiero e realtà, Boringhieri, Torino, 1970., p. 63 ↩︎
  2. Cfr. Ivi, p. 118 ↩︎
  3. Cfr. Bridle J., Nuova era oscura, NERO, Roma, 2019 pp. 87-88 ↩︎
  4. Cfr. D. Piacenza, Rivista Studio, Il Basilisco di Roko, 2014 ↩︎
  5. Cfr. T. Cancelli, How to accelerate. Introduzione all’accelerazionismo, Edizioni Tlon, Roma, 2019, p. 56 ↩︎
  6. Cfr. Ivi, p. 36 ↩︎
  7. Cfr. Ivi, p. 46 ↩︎
  8. A. Williams, N. Srnicek, Manifesto accelerazionista, Laterza, Bari-Roma, 2018, p. 34 ↩︎
  9. Cfr. V. Mattioli, Prismo Mag, Meltdown, 2016 ↩︎
  10. Cfr. T. Cancelli, op. cit., p. 105 ↩︎
  11. Cfr. T. Guariento, Lo Sguardo, Introduzione al pensiero di Nick Land, 2017 ↩︎
  12. Cfr. M. Fisher, Cinestatic, Social Science / Social Science Fiction (How the True World became a Simulation), 2013 ↩︎
  13. Cfr. Cybernetic Culture Research Unite, CCRU Writings 1997-2003, Time Spiral Press, Leamington, 2015, p. 25 ↩︎
  14. W. Burroughs, Electronic revolution, UbuClassics, 2005, p. 4 ↩︎
  15. Cfr. N. Land, Fanged Noumena. Collected Writings 1987-2007, Urbanomic, Falmouth, 2011, p.507 ↩︎
  16. Cfr. Ivi, p. 517 ↩︎

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