Frame dal film Annientamento

Archeologia della nostra scomparsa

Accentramento del non-umano e analisi delle nostre future tracce

17 min

Se gettiamo lo sguardo attraverso la fessura che abbiamo aperto sull’Assoluto, vi scopriamo una potenza piuttosto minacciosa: qualcosa di sordo, in grado di distruggere tanto le cose quanto degli interi mondi. Capace di generare dei mostri di illogicità ed altrettanto capace di non passare mai all’atto. In grado di produrre tutti i sogni, ma anche tutti gli incubi, capace di mutamenti frenetici e privi di un ordine, oppure – all’opposto – capace di produrre un universo immobile fin nei suoi minimi dettagli. Come un nembo carico dei più violenti temporali, delle più irreali schiarite, e per ora di una calma inquietante.

Q. Meillasoux, Dopo la finitudine

Varosha è un quartiere della città di Famagosta, de facto appartenente alla Repubblica Turca di Cipro del Nord – Stato non riconosciuto dalla comunità internazionale – la quale si estende nelle zone appartenenti alla Repubblica di Cipro. Alla fine della guerra turcocipriota scoppiata nel 1974, l’accesso a Varosha è stato interdetto, divenendo terra di nessuno e fungendo da zona cuscinetto tra la comunità turca e quella greco-cipriota.

Quando scoppiò la guerra, Varosha non aveva più di due anni. Situata lungo una mezzaluna di sabbia, nelle intenzioni dei greci ciprioti, il quartiere doveva divenire la “Riviera di Cipro”, successivamente agli scontri però, divenne un quartiere fantasma, composto per di più da alberghi di lusso oramai abbandonati e rimasti bloccati agli anni ’70.1

Nel 1976, una vecchia fondazione turca, la cui proprietà comprendeva già un albergo ai margini di Varosha, chiese il permesso di rimettere in sesto un hotel all’interno del quartiere abbandonato nella speranza di una futura rimozione dell’interdizione. Venne così mandata nella zona una squadra di tecnici elettricisti, i quali descrissero l’area come uno spettacolo sinistro: vennero colpiti da quanto le persone se ne fossero andate in fretta. Il registro dell’albergo era ancora aperto all’agosto ’74. Le chiavi delle stanze erano posate sul bancone, dove le aveva lasciate la gente in fuga. Le finestre che davano sul mare erano rimaste aperte e la sabbia era entrata formando piccole dune di sabbia.2 Ciò che colpì i tecnici però, non fu l’assenza di vita, ma la sua vibrante presenza. Alberi e piante inondavano il paesaggio e minuscoli semi di ciclamino selvatico si erano insinuati nelle crepe, germinando e scalzando intere lastre di cemento. Uno dei più noti articolisti turchi, Metin Münir, scrisse ciò in merito: «Ora si comprende cosa intendono i taoisti quando dicono che il tenero è più forte del duro».3

Mentre le recinzioni e il filo spinato si arruginisce, i rivestimenti in pietra calcarea si sgretolano, l’intonaco si ingiallisce fino a diventare una tenue patina, la natura continua a reclamare quel che era suo. Gerani selvatici e filodendri fanno capolino dai tetti scoperchiati e si riversano oltre le pareti esterne. Fratte di ibisco, oleandro e passiflora spuntano in recessi in cui l’esterno e l’interno oramai si confondono.4

Il tipo di desolazione e isolamento di Varosha, si ritrova per certi versi anche all’interno della Trilogia dell’Area X (2014) dello scrittore Jeff VanderMeer. Nel primo romanzo della trilogia, Annientamento, la spedizione inviata nell’Area X, scopre con stupore che non c’è niente di apparentemente anomalo nella natura incontaminata che li circonda; tuttavia in quel preciso istante, l’Area X sta già esercitando una sorta di influsso su di loro. Ciò che circonda i protagonisti della spedizione, penetra così nei loro corpi oltre che nelle loro coscienze: entità troppo grandi o troppo piccole per essere percepite dall’intelletto umano, di fatto invisibili, iniziano a “contaminare” e inglobare tutto ciò che risiede all’interno della zona. La trilogia di VanderMeer è tra le altre cose anche la rappresentazione di un’apocalisse umana: l’Area X è un luogo dove l’essere umano perde il suo posto centrale nella gerarchia degli esseri viventi e viene soggiogato dalla natura, trasformandosi in qualcosa di essenzialmente non-umano.5

VanderMeer, che è tra i principali esponenti del New Weird, è estremamente collegato con un teorico altrettanto importante per il percorso che stiamo intraprendendo, ovvero Timothy Morton, il quale ha inserito spesso nei ringraziamenti dei suoi libri proprio VanderMeer.

L’interesse per la filosofia continentale ha portato Timothy Morton ad avvicinarsi al movimento dell’Object-Oriented Ontology (OOO), una scuola di pensiero del XXI secolo che fa della critica all’antropocentrismo uno dei suoi nuclei fondanti. Secondo Morton, il concetto di ecologismo, per trovare un senso, deve essere privato proprio della sua matrice antropocentrica, che assolutizza la Natura come un altrove metafisico da preservare e deve invece entrare in un’ottica dove l’uomo è parte dello stesso sistema della Natura che vorrebbe difendere. La OOO tratta dell’impossibilità di distinguere naturale e antropico avviando così una sorta di ontologia piatta nel cui sistema invece coesistono entità eterogenee.6

Proprio prendendo in prestito il termine “oggetto” dall’OOO, Morton sviluppa uno dei suoi concetti cardine, ovvero quello di Iperoggetto: il termine in questione fa riferimento a un’entità di una tale dimensione spazio-temporale in grado da incrinare la nostra stessa idea di cosa un “oggetto” sia. L’esempio più drammatico è senza dubbio il riscaldamento globale.6 Pensiamo a quando ci inerpichiamo su un calanco, di come sulle nostre scarpe si depositino miliardi di creature sottomarine polverizzate; pensiamo a quando piantiamo un chiodo nel muro, di come i batteri hanno depositato ferro nella crosta terrestre sotto forma di solidi strati di minerali. L’ossigeno nei nostri polmoni è il prodotto del degassaggio di batteri. Il petrolio è il risultato di una collusione tra rocce, alghe e plancton avvenuta milioni e milioni di anni fa. Gli iperoggetti si allungano nel tempo fino a raggiungere un’estensione così vasta che diventano quasi impossibili da cogliere concettualmente. Si trovano semplicemente su scale temporali che non possono far altro che umiliarci.7

L’unico modo di vedere un Iperoggetto come il riscaldamento globale sottoforma di un oggetto statico, è solo tramite una visualizzazione della somma degli eventi metereologici all’interno di uno spazio suddiviso in fasi. Stiamo parlando di visualizzare un Iperoggetto attraverso un attrattore il quale venne concepito per la prima volta da Edward Lorenz, dando vita appunto all’Attrattore di Lorenz, il primo attrattore strano.8

Il tempo sotto questo punto di vista, come sottolinea Morton, diventa qualcosa di radicalmente intrinseco agli oggetti: si propaga in essi. Anche lo spazio che è negli oggetti differenzia una parte dall’altra. Il problema è che, senza un attrattore come quello di Lorenz, queste entità multidimensionali sono invisibili ai nostri occhi.9 Il mondo, risulta così essere una sorta di effetto estetico basato su una cattiva messa a fuoco. La sfocatura deriva dalla nostra ignoranza relativa agli oggetti.10

L’ulteriore passaggio che consegue da questo percorso, è sottolineare il forte collegamento tra l’OOO e il Realismo Speculativo: entrambi i movimenti criticano il cosiddetto pensiero correlazionista e la già citata visione antropocentrica. Gli esponenti cardine di tale Realismo sono Ray Brassier, Graham Harman, Hamilton Grant e il padre putativo del movimento, Quentin Meillassoux. Nonostante non ci sia una netta concordanza di pensiero tra i filosofi, si ritrova un punto fondamentale trattato da tutti gli esponenti, ovvero proprio quello dell’opposizione all’antropocentrismo, conseguenza del rifiuto di quella che Meillassoux chiama “controrivoluzione tolemaica” che a suo parere avrebbe avviato Kant. Per correlazionismo, invece, Meillasoux fa riferimento a una filosofia che potrebbe parlare solo entro una banda molto ristretta, limitata alla correlazione tra essere umano e mondo, ovvero alla nostra capacità di poter accedere solamente alla correlazione del pensiero e dell’essere.11 A parere di Meillasoux, i moderni è come se avessero perso il Grande Esterno, concezione invece appartentente a pensatori pre Kant: quell’esterno che non era affatto relativo a noi, che era dato come indifferente al suo stesso darsi, per essere solo ciò che è, indipendentemente che noi lo avessimo fatto oggetto dei nostri pensieri o meno.13 Il punto focale della critica di Meillasoux, risiede nella contraddizione in cui il correlazionismo incapperebbe di fronte a un enunciato scientifico che poggia esplicitamente sul darsi del mondo posto come anteriore all’emergere del pensiero e quindi anteriore ad ogni forma umana di rapporto col mondo stesso. Da qui il filosofo francese estrapola i concetti di ancestrale e di arcifossile, dove per ancestrale si intende ogni realtà anteriore all’apparizione della specie umana e per arcifossile si fa riferimento ai materiali che indicano l’esistenza di una realtà o di un avvenimento ancestrale anteriore alla comparsa della vita sulla Terra. L’autentico ancestrale così arriva a cogliere degli avvenimenti che non sono contemporanei ad alcun darsi.12 Tutti i correlazionismi si rivelano in questo modo degli idealismi estremi, incapaci di decidersi ad ammettere questi avvenimenti di una materia senza uomini di cui ci parla la scienza.13 C’è inoltre da considerare che l’ancestrale non si collega ad un discorso di “non-percepito” ma costituisce una sfida differente per il correlazionismo: come riuscire a pensare un tempo nel quale il dato in quanto tale passa dal non essere all’essere? Si parla così del tempo della scienza e non della coscienza.14 Inoltre, il discorso dell’arcifossile non si limita solo agli enunciati ancestrali. Esso riguarda in verità ogni discorso il cui senso includa uno sfasamento temporale del pensiero e dell’essere: quindi non solo gli enunciati che riguardano gli avvenimenti precedenti alla comparsa dell’uomo ma anche quelli che vertono su possibili avvenimenti successivi alla sparizione della specie umana, è quindi più esatto in questo caso parlare di enunciati diacronici.15

Per la prima volta, con tale concezione, il mondo sembra presentarsi come in grado di sussistere prescindendo da tutti gli aspetti che costituiscono la sua concretezza rispetto a noi.16

E se constatiamo che il mondo può essere anche senza di noi, come effettivamente potrebbere essere senza di noi? Che tipo di contesto mettono in campo gli enunciati diacronici e cosa significa quindi immaginare una “fruizione” senza la nostra presenza? Guardiamo le fotografie dei giorni successivi all’esplosione nucleare di Hiroshima: in alcuni scatti possiamo vedere che i muri sono stati segnati dalla proiezione dei corpi umani che, come silhouette o macchie d’inchiostro, sono rimasti impressi sulle pareti a causa della propagazione dell’ernome calore susseguente lo scoppio. Qui l’umano è letteralmente un’ombra su una struttura fisica ben più grande, un’ombra della conversione della materia in energia.17

Nonostante alcune opere di ignegno dell’uomo col tempo scompariranno – basti pensare al fatto che delle sette meraviglie del mondo antico è rimasta in piedi solo la piramide di Cheope18 – rimarrà probabilmente qualche traccia di noi. Ad Alessandria d’Egitto, la più preziosa biblioteca mai costruita, restò in perfetto stato di conservazione, finché non venne incendiata con l’obiettivo di cancellare il paganesimo. La cosa più triste – dice il curatore del patrimonio artistico di Manahattan, Paul Himmelstein – è che non avremo mai la minima idea di come fosse la musica antica, possediamo alcuni strumenti, ma non sappiamo che suoni producessero.19 Nonostante ciò, fra tutte le espressioni della creatività umana, forse sarà proprio la musica ad avere maggiori opportunità di continuare a echeggiare. Pensiamo a Carl Sagan che venne coinvolto dalla Nasa nelle missioni delle due sonde spaziali Pioneer 10 e Pioneer 11. Fra due milioni di anni Pioneer 10 dovrebbe passare accanto alla stella rossa Aldebaran nella costellazione del Toro. Per quanto riguarda Pioneer 11, scagliata nella direzione del Sagittario, per quattro miliardi di anni non incontrerà nessuna stella. Entrambe le Pioneer avevano imbullonate al proprio telaio delle placche con sopra un’incisione dell’ex moglie di Sagan, Linda Salzman, che ritrae i corpi nudi di un maschio e una femmina umani. Accanto ci sono rappresentazioni grafiche della posizione della Terra nel sistema solare e della localizzazione del Sole nella Via Lattea e infine un codice matematico basato su uno stato transitorio dell’idrogeno, che indica le lunghezze d’onda su cui siamo sintonizzati, in ascolto. Successivamente Sagan, insieme al pittore e produttore radiofonico Jon Lomberg, partecipò alla realizzazione dei messaggi che sarebbero stati posizionati su altre due sonde spaziali, i Voyager.

I messaggi trasportati, disse Sagan a Lomberg, avrebbero dovuto essere molto più dettagliati rispetto ai progetti precedenti relativi ai Pioneer. In un’epoca in cui ancora non esistevano i media digitali, escogitarono un modo per registrare sia suoni che immagini su un disco analogico in rame placcato d’oro, cui sarebbero stati acclusi una puntina di giradischi e dei diagrammi che si speravano comprensibili su come farlo funzionare. L’idea era di concepire e coreografare una vetrina espositiva che sarebbe stata un’opera d’arte di per sé, contenente quelli che sarebbero probabilmente stati gli ultimi frammenti residui dell’espressione artistica umana. Una volta lanciata, secondo stime prudenti, era destinato a durare almeno un miliardo di anni. Lomberg e i suoi colleghi interpellarono figure di rilievo mondiale, semiologi, pensatori, artisti, scienziati e scrittori di fantascienza, chiedendo loro cosa poteva penetrare la coscienza di ascoltatori e spettatori inimmaginabili. Il disco avrebbe contenuto i saluti registrati in cinquantaquattro lingue umane, più le voci di una dozzina di animali, rumori di vario genere e ventisei brani che comprendono musica di pigmei, navajo, cornamuse azerbaigiane, mariachi, Chuck Berry, Bach, Louis Armstrong, etc.20

Arriviamo dunque a trattare la cosiddetta Età dell’Asimettria, concetto sviluppato da Timothy Morton che fa riferimento a un contesto in cui umani e non si interfacciano per un confronto alla pari. Più nel dettaglio, per Morton, questa Età dell’Asimettria corrisponderebbe alla nascita dei realismi speculativi e dei movimenti filosofici e artistici che si oppongono al correlazionismo emerso all’epoca dell’Antropocene.21 Il punto risiede nella riflessione sulla non diretta accessibilità di un oggetto multidimensionale e in linea con la dimostrazione dell’attrattore di Lorenz, Morton prende come esempio diverse opere d’arte tra cui quella di Felix Hesse, Air Pressure Fluctuations: il progetto consiste in un progetto di sound art che fa un uso massiccio dell’accelerazione temporale, dandoci così la possibilità di ascoltare suoni che non ci sono solitamente accessibili. Hess installando sulla finestra della sua abitazione dei microfoni a contatto, ha registrato tutto ciò che accadeva per diversi giorni, per poi accelerare la registrazione di 360 volte rispetto alla velocità originale: il traffico inizia così a suonare come lo stridio di minuscoli insetti. Quando si ascolta Air Pressure Fluctuations, si ascolta l’onda stazionaria causata dalle variazioni di pressione dell’aria sull’Oceano Atlantico. Un’entità gigantesca è incanalata in una registrazione sonora accessibile agli umani.22

Pensiamo ora alla nostra dipartita come razza umana: ciò che rimarrà sarà un’archeologia “fruibile” da qualcos’altro rispetto a noi, qualcosa di sicuramente non-umano. Avverrà una sorta di ribaltamento di fruizione, in cui sarà la nostra ombra, le nostre impronte, a divenire spettacolo da fruire. Diventeremo l’oggetto di “osservazione” e non più soggetto. Sarà la desolazione della Natura ad osservare le macerie della piramide di Cheope, sarà la vacuità dello spazio ad assistere le erranti Pioneer e Voyager. Saremo come geroglifici pronti a raccontare nel corso del tempo un passaggio, in cui la nostra posizione sarà quella di totale passività. L’osservazione sulle nostre ombre si prolungherà come un’entità multidimensionale, esattamente come quell’Iperoggetto di cui noi, da esistenti, non riusciamo a coglierne la presenza.

Poter immaginare il nostro slittamente da soggetto a oggetto, ci permette di inoltrarci in un contesto dove possiamo immaginare operazioni archeologiche in cui sono i nostri resti ad assere analizzati. Un caso interessante collegabile a questo discorso sono gli album del compositore Craig Leon, usciti rispettivamente nel 1981 (Anthology of Interplanetary Folk Music Vol. 1: Nommos/Visiting) e nel 2019 (Anthology of Interplanetary Folk Music Vol. 2: The Canon). Il genere in cui rientrano questi album viene definito futuristic folk music ed effettivamente quello che cerca di fare Craig Leon, già a partire dal 1973, è di analizzare l’arte antica di alcune tribù Dogon, popolazione africana del Mali, che lo influenzerà inevitabilmente nella composizione della sua musica. La cosa interessante dei Dogon, è che per centinaia di anni hanno vissuto in un relativo isolamento portandoli a sviluppare un complesso sistema di studi astronomici molto differente da quello di altre popolazioni africane. Infatti, il culto dei Dogon è ricollegabile a delle divinità anfibie extraterrestri, chiamate Nommo (nome che appunto si ritrova nell’album di Leon del 1981) che avrebbero viaggiato verso la Terra dalla stella Sirio B. Leon venne affascinato dal fatto che nei primi anni del XX secolo, gli astronomi rimasero sorpresi nel verificare l’esattezza degli studi della popolazione Dogon e proprio per questo il musicista iniziò a comporre un album su come i Nommo avrebbero potuto creare delle sinfonie. Le composizioni basate su dei sintetizzatori, danno una percezione di qualcosa che proviene dal futuro, nonostante emergano contemporaneamente delle sonorità tribali. Leon crea così il termine interplanetary folk, facendo riferimento a una crasi di apparenti attributi contrapposti: antiquato e progresso. Sia chiaro, gli album non sono un tentativo di appropriazione o replicazione del suono delle tribù Dagon, piuttosto sono una ripresentazione creativa e personale che utilizza le “nuove” tecnologie per immaginare un tempo prima delle capacità di registrare musica. Sia primitiva che futuristica, sembra che questa musica esista al di là del tempo.23 Il futuristic folk music di Leon, riesce così ad avviare un cambio focale iniettando il folclore all’interno di contesti ancestrali o diacronici, come direbbe Meillasoux, dove assistiamo a una semplice traccia di un’immaginaria e enorme entità temporale che si estende dalla sfera tribale fino a quella diacronica.

Per concludere sottolineiamo come la nostra perdita di centralità oltre a darci la possibilità di maggiore consapevolezza dell’enormità degli Iperoggetti, ci permette di immaginare contesti completamente nuovi e sconosciuti che sono al di là del principio di correlazione. Gli iperoggetti inoltre, chiariscono in questo modo il fatto che quel che viene chiamato umano – nel bene e nel male – continua anche dopo la fine del mondo (umano), anche se non potremo continuare a fruirlo.

Il decentramento dell’importanza del dato umano, ci porta in questo modo a riflettere su una nostra possibile assenza e le opere da noi sviluppate fungono da elemento che serve a immaginare la loro impossibilità di presenza, infatti è forse proprio nella scomparsa – relativamente al nostro sguardo – di questi artefatti così importanti e centrali per l’uomo e per la cultura umana, che si riesce a comprendere un possibile decentramento totale della figura umana, partendo proprio da ciò che probabilmente lo rappresenta meglio. Similmente a come Meillasoux prende in considerazione i contesti diacronici per mettere a nudo la posizione correlazionista e sottolineare un tempo non-umano, progetti simili alla partenza delle sonde Pioneer e Voyager che indicano non tanto un reale tentativo di contatto con forme di vita aliena, quanto l’accettazione di uno smarrimento, di una perdita di contatto con qualcosa che non potremo mai più fruire e che presuppone una loro forte valenza simbolica, implica nuovi tentativi di (in)comunicabilità e di (in)fruibilità in cui l’uomo non può far altro che congetturare una fruizione che non può avvenire mettendo in atto un esercizio immaginativo in cui si diviene oggetti e non più soggetti, permettendo così la nascita di nuovi punti di vista proprio grazie alla perdita di contatto e di centralità.

  1. Cfr. A. Weisman, Il mondo senza di noi, Einaudi editore, Torino, 2008, p. 96; 2 Ivi, p. 98; ↩︎
  2. Cfr. Ivi, p. 98; ↩︎
  3. Cfr. Ivi. pp. 99 – 100; ↩︎
  4. Cfr. Ivi, p. 101; ↩︎
  5. Cfr. G. Didino, Prismo Mag, Nell’Area X degli iperoggetti, 2016; ↩︎
  6. Cfr. G. Didino, Il Tascabile, Iperoggetti di Thimoty Morton, 2018; ↩︎
  7. Cfr. T. Morton, Iperoggetti, Nero, Roma, 2018, pp. 8 – 9; 8 Ivi, p. 75; ↩︎
  8. Ivi, p. 89; ↩︎
  9. Cfr. T. Morton, op. cit., p. 92; 11 Ivi, p. 125; ↩︎
  10. Q. Meillasoux, Dopo la finitudine, Mimesis, Milano, 2012, p. 18; ↩︎
  11. Cfr. Ivi, p. 16; ↩︎
  12. Ivi, p. 31; ↩︎
  13. Ivi, p. 28; ↩︎
  14. Ivi, p. 32; ↩︎
  15. Ivi, p. 141; ↩︎
  16. Ivi, p. 144; ↩︎
  17. Cfr. T. Morton, op. cit., p. 240; 20 Ivi, p. 181; ↩︎
  18. Ivi, p. 181; ↩︎
  19. Cfr. A. Weisman, op. cit., p. 262; ↩︎
  20. Cfr. Ivi, pp. 263 – 266; ↩︎
  21. Cfr. A. Weisman, op. cit., p. 244; ↩︎
  22. Cfr. A. Weisman, op. cit., p. 262; ↩︎
  23. Cfr. L. Zoladz, Pitchfork, Anthology of Interplanetary Folk Music Vol. 1: Nommos/Visiting; 2014; ↩︎

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